Considerazioni sulla genitorialità omosessuale
Per accostarci allo studio dell’omogenitorialità cercando di evitare opinioni pregiudizievoli, possono essere utili alcune riflessioni sul costrutto della genitorialità.
Come chiarisce Fruggeri [Fruggeri, 2005], all’interno di una famiglia, anche di tipo nucleare fondata sul matrimonio e sulla continuità tra dimensione coniugale e genitoriale è possibile riscontrare una non necessaria congruenza, sovrapponibilità o consequenzalità tra:
– genitorialità e generatività: la genitorialità può esprimersi anche in assenza della generatività biologica, come nei casi delle famiglie adottive o nelle situazioni di affido familiare o presso una comunità residenziale
– genitorialità e coniugalità: la funzione genitoriale può esprimersi anche in assenza di una relazione coniugale, come nel caso di ragazze madri/ragazzi padri, di vedovanza
– genitorialità e matrimonio: la funzione genitoriale può esprimersi anche al di fuori del vincolo matrimoniale, come nei casi delle coppie di fatto, di separazioni o divorzio: la rottura dell’asse matrimoniale non determina in sé l’interruzione della capacità genitoriale
– genitorialità e unicità del nucleo familiare: le famiglie allargate, ricostituite, che si articolano su nuclei differenti, intersecati tra loro, testimoniano che l’esercizio genitoriale non è ancorato ad un unico nucleo familiare
– genitorialità e differenze di genere e differenze di ruolo coniugale: le funzioni genitoriali possono essere esercitate anche in contesti familiari in cui i ruoli coniugali non sono esclusivamente legati a generi differenti dei partner, come nel caso di coppie/famiglie omosessuali.
Su questa base la Butler afferma, criticamente, che il riconoscimento del fatto che la famiglia si fonda in modo naturale sul matrimonio, che il matrimonio è (e dovrebbe rimanere) un’istituzione basata su un legame eterosessuale e che la funzione genitoriale è adeguata solo se esercitata all’interno di una riconosciuta e riconoscibile forma familiare, è frutto di rappresentazioni e di credenze arbitrarie [Butler, 2004]. Questo focalizza l’attenzione sull’esistenza di una realtà multiforme ed evidenzia che non possiamo catalogare come disfunzionale tutto quello che dèvia dal modello coniugale nucleare di tipo eterosessuale.
“Fare famiglia” significa creare dei legami affettivi all’interno dei quali le persone sviluppano un senso sufficientemente stabile del sé e delle relazioni con gli altri. Questi legami si trasformano nel tempo, in relazione alla gestione dei compiti di sviluppo e di eventi critici, ma costituiscono un substrato fondamentale sul quale ci possiamo “fondare” come persone e sul quale si assesta il nostro benessere psicologico. È grazie ai legami affettivi familiari che possiamo esplorare il mondo sentendoci protetti, riconoscendo un punto di riferimento a cui poter tornare e su cui il bambino può formare la sua personale identità.
La famiglia funziona in modo adeguato e gestisce la genitorialità in modo funzionale se al suo interno si attivano processi e contesti di sviluppo positivi per i suoi componenti [Lampis, De Simone, 2015]. E allora ci si può chiedere se il solo criterio della “forma familiare” può davvero essere l’unico su cui basarsi per valutare il funzionamento di una famiglia e le eventuali ricadute sullo sviluppo psicoaffettivo dei figli o se non sia invece più importante un’attenta riflessione sulla centralità e qualità dei legami affettivi all’interno di queste pluralità di forme familiari [Lalli, 2009, Taurino, 2007].
In questa prospettiva dovremmo dunque considerare che tutte le tipologie di famiglia possono essere dei contesti funzionali o, al contrario, disfunzionali e tutti i genitori, a prescindere dal loro orientamento sessuale, sono potenzialmente “sufficientemente buoni” o “non sufficientemente buoni” [Winnicott, 1974].
Gisella Pricoco
Mediatrice Familiare