Parliamo di famiglie omogenitoriali
In Italia la famiglia è da secoli fondamento vivo del nostro sistema sociale, naturalmente influenzata dai fattori socio-economici, culturali e di costume. Questi attraversano la storia e determinano evoluzioni e cambiamenti, anche se le trasformazioni dei nostri schemi rappresentativi, ancorati al nostro mondo interiore e alla nostra storia, procedono più lentamente della mentalità sociale.
Un cambiamento significativo è stato determinato quasi cinquanta anni fa dall’introduzione della L. 898/1970 sul divorzio, che ha introdotto una diversa visione del matrimonio, non più legame indissolubile. Da allora ad oggi sono intervenuti cambiamenti importanti nella visione della famiglia tradizionale eterosessuale, alla quale tutti ancora tendenzialmente ci riferiamo.
Oggi i cambiamenti nelle modalità di “fare famiglia”, con l’aumento dell’instabilità coniugale, delle convivenze, delle famiglie ricomposte e dei figli nati fuori dal vincolo matrimoniale, ci stanno portando progressivamente al distacco da un modello composto da due genitori eterosessuali e dai loro figli. Non a caso parliamo sempre più di Famiglie al plurale, consapevoli dei diversi modelli in essere che richiedono un approccio pluralista e non stigmatizzante.
La legge Cirinnà (L.76 del 20/05/2016) ha istituito l’unione civile tra persone dello stesso sesso e disciplinato le unioni di fatto, riconoscendo per la prima volta in Italia diritti e doveri delle coppie omosessuali che scelgono di formalizzare la loro unione.
Oggi ci confrontiamo sia con forme familiari nuove (nuclei monoparentali, famiglie ricomposte, famiglie omogenitoriali, famiglie plurietniche) che con situazioni di genitorialità nuove: bambini cresciuti da genitori non sposati, adottivi o affidatari, bambini che vivono con altre figure familiari o all’interno di famiglie ricostituite, con fratelli da letti diversi e di bambini – pur se tra ostacoli legislativi e culturali ben presenti – di genitori omosessuali, che secondo una indagine dell’Arcigay (2005) patrocinata dall’Istituto Superiore di Sanità, rappresentano in Italia oltre 100mila bambini (2 milioni negli Usa).
Incontriamo nelle scuole, nei consultori, tra i colleghi, nel vicinato, coppie LGBTQ (acronimo di Lesbiche, Gay, Bisessuali, Trans (transessuali/transgender), Queer), famiglie omogenitoriali di prima costituzione, in cui il progetto di genitorialità è nato dalla coppia omosessuale, oppure ricostituite quando i figli provengono da una precedente relazione eterosessuale [Speranza, 2015].
Nel passato le forme familiari che si costituivano secondo modelli diversi da quella nucleare, erano ritenute forme incomplete, quando non portatrici di patologia e studiate come “casi” dalle varie branche della indagine clinica: questo accadeva in un contesto sociale caratterizzato dalla cultura della devianza. La rigorosa critica epistemologica e metodologica a cui è stata sottoposta la ricerca scientifica in questo ambito e il costituirsi dei membri di queste famiglie come minoranze attive che rivendicano il riconoscimento sociale della loro specificità (associazioni gay, genitori separati, famiglie ricomposte ecc.), hanno contribuito al passaggio dalla cultura della devianza alla cultura della differenza, che riconosce la molteplicità con cui le persone organizzano i propri rapporti primari [Fruggeri, Mancini, 1998].
I segnali che indicano come questa cultura della differenza si stia diffondendo, oltre che dalla ricerca scientifica, arrivano anche dal contesto normativo. Nel 2016 la Corte di Cassazione conferma la decisione della Corte di appello di Torino, che aveva ordinato all’Anagrafe di trascrivere l’atto di nascita di un bambino nato con la fecondazione assistita da due donne sposate in Spagna. La sentenza afferma che:“La regola secondo cui è madre colei che ha partorito, a norma del III comma dell’art.269 c.c., non costituisce un principio fondamentale di rango costituzionale, sicché è riconoscibile in Italia l’atto di nascita straniero dal quale risulti che un bambino, nato da un progetto genitoriale di coppia, è figlio di due madri (una che lo ha partorito e l’altra che ha donato l’ovulo), non essendo opponibile un principio di ordine pubblico desumibile dalla suddetta regola”. Per la Cassazione è prevalso l’interesse del minore ad avere entrambi i genitori, anche se omosessuali, perché non esiste alcun “divieto costituzionale” che impedisce alle coppie dello stesso sesso “di accogliere e generare figli”.
In seguito, altri Comuni italiani hanno cominciato a seguire la linea di Torino. Nei primi giorni di luglio 2018 la Cassazione ha confermato la decisione della Corte di Appello di Palermo con cui l’ex compagna (coppia di donne lesbiche) potrà continuare a vedere le figlie minorenni dell’altra donna con incontri programmati e stabiliti dal giudice per un pomeriggio a settimana e due weekend al mese, evidenziando che il procedimento “non è volto a risolvere un conflitto tra diritti del genitore e di un’altra persona adulta, posti su un piano paritario, bensì preordinato all’esigenza prioritaria di tutela degli interessi del minore”, trattandosi di persona che aveva precedente rapporto affettivo con la loro madre e con le minori medesime. Viene quindi rigettato il ricorso della madre che riteneva la ex compagna “non legittimata in quanto non parente” delle minori.
Negli Stati Uniti, come in molti altri Paesi europei, le coppie omosessuali possono sposarsi, adottare o avere figli. In Italia il primo passo, come sopra detto, è stato il riconoscimento delle coppie omosessuali come unioni civili, con la Legge N. 76 del 20/05/2016, che però non ha ammesso la possibilità di una genitorialità biologica per le coppie dello stesso sesso.
Siamo dunque di fronte a nuove realtà familiari, oggi presenti anche nel nostro contesto sociale, che richiedono una maggiore conoscenza, di ripensare alle teorie, alle categorie e ai linguaggi attraverso cui si costruiscono i discorsi sul “familiare”, a partire dai significati che noi gli attribuiamo.
Gisella Pricoco
Mediatrice Familiare